Senza Alcaraz, Sinner, Berrettini, con Musetti con l’influenza intestinale, con Djokovic lontano parente di quel numero 1 che dominava la classifica ATP, con Nadal ormai in poltrona, con Medvedev, Ruud e Tsitsipas col fiato corto, non ci si poteva imbattere in una edizione, l’81ma, sfavillante degli Internazionali d’Italia. Così bisogna accontentarsi di una finale da torneo 250, al massimo 500, tra il numero 5 del mondo, il tedesco Zvevev, che ha già vinto Roma sette anni fa, a 20, quando prometteva bene il ragazzo, anche spettacolo, e l’outsider di turno, il cileno Jarry, numero 24, che ha un anno in più del tedesco e forse anche un gioco più vario ma meno solido. Già perché Zverev è uno che sbaglia poco, che concede nulla o molto poco. Al Foro Italico il teutonico ha perso solo un set, in semifinale contro l’altro cileno Tabilo, che ha dimostrato come lo si può battere, variando il gioco, spostandolo. Nel 2024 Zverev non ha ancora vinto un torneo, esprimendosi meglio sul cemento piuttosto che sul rosso, e forse è la volta buona. Certo parte da favorito perché Jarry in carriera non si è mai spinto così in alto (prima finale in un Masters 1000), anzi quest’anno nei tre tornei sulla terra è uscito sempre al primo turno: a Montecarlo è stato eliminato dall’argentino Etcheverry, a Barcellona dall’altro argentino Trungelliti e a Madrid da Cobolli. Quindi al Foro Italico il cileno ha vinto le prime cinque partite sul rosso, rischiando contro Arnaldi e Napolitano ai primi turni e approfittando delle lune di uno Tsitsipas che appariva il grande favorito del torneo. Ma ha meriti Jarry, soprattutto di non aver mai mollato il match, di rimanere aggrappato sino all’ultimo quindici anche in condizioni psicologiche sfavorevoli, con l’avversario (Napolitano e Paul ad esempio) ingrifato per l’aggancio alla partita, per averla raddrizzata. Ma lui, il cileno, si è rimesso lì a giocare, a sparare il suo servizio ben oltre 210 chilometri orari, a prendere l’iniziativa anche da fondo campo, rischiando cross o lungolinea con angolazioni spericolate. Insomma la finale di domani ha un favorito sulla carta e per i bookmakers, il tedesco Zverev, ma tutto può accadere: l’unica certezza è che vuoi per le troppe assenze di spessore, vuoi per il carattere monotematico dei tennisti, questi Internazionali sono stati comunque noiosetti, non all’altezza della miglior tradizione romana.

Andrea Curti