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Primo set, maledetto primo set perso. L’avventura di Matteo Berrettini da Roma (Nuovo Salario), 42 anni dopo Barazzutti 1977, finisce lì. Il ragazzone si gioca l’ingresso in finale agli US Open, ma dall’altra parte della rete c’è un certo Rafael Nadal, 18 Slam all’attivo (tra cui 12 consecutivi Roland Garros), un mostro da fondo campo nonostante la chioma spelacchiata, segno del tempo che passa per tutti. Ma per l’iberico un po’ meno, dato che per tutto il match salterà come un grillo mostrando il timing dei tempi migliori. Maledetto primo set, comunque, perché il tennista romano ha salvato una serie di palle-break presentandosi baldanzoso al tie-break vanti 4-0, 5-2, 6-4, ovvero due set point Berrettini. Niente. Questa volta prima la palla corta e poi il dritto lo tradiscono, e Nadal è implacabile, non perdona. Raddrizza il set e lo porta a casa alla prima occasione, spianando la strada al successo finale. Maledetto primo set. Il secondo è il leit motiv del primo, con l’azzurro che deve salvare capre e cavoli sul servizio mentre il suo avversario va spedito senza cedimenti; ergo, break Nadal al settimo gioco e 6/4 matematico. Nel terzo si cala il sipario: Berrettini raccoglie solo un game, esausto di fronte alle traiettorie liftate (che sanno di scudisciate) dello spagnolo. Bisogna solo ringraziare Berrettini per aver tenuto sveglia l’intera Italia tennistica. 42 anni dopo il cittì Barazzutti. Per il resto un Nadal che non molla un centimetro nemmeno oltre gli enta e un Berrettini che si ritrova un obiettivo insperato di stagione, ovvero di entrare nei primi otto della Race (lui è nono ora) per giocare il Masters di Londra. L’Asia e i suoi tornei sul cemento potrebbero consegnarci un altro fiore all’occhiello.

Andrea Curti