di ANDREA CURTI

Sono i suoi punti deboli, il rovescio bimane e gli spostamenti laterali, e nel circuito ormai lo conoscono, lo sanno. Ed è così che un onesto lavoratore della pallina e nulla più come il norvegese Ruud, tutto agonismo e corsa, solidità da fondo campo ma fantasia tennistica zero, ha infiocchettato il pacchetto a Berrettini regalando al tennista romano una grande delusione, quella di non poter accedere alle semifinali degli Internazionali d’Italia di tennis 13 anni dopo Volandri (2007) e di sfidare il numero 1 del mondo, il serbo Djokovic (accorso mascherato sulle tribune per vedere le prime fasi del match tra i due contendenti), peraltro con un po’ di pubblico dalla parte dell’italiano. Invece il sogno è diventato incubo, una occasione ghiotta mancata dopo tre ore di gioco. Eppure la partita si era messa molto bene per il tennista capitolino. Pronti, via e subito break a favore. Poi diventato 2-0. Ruud ha avuto la palla del 3 pari e del 5 pari ma la solita bomba sul servizio ha permesso a Berrettini di issarsi prima 4-2 e poi vincere la prima frazione 6/4. Però che qualcosa non andasse, al di là della battuta, si era ampiamente notato. Sopratutto una caterva di errori non forzati dell’azzurro col rovescio ed è fermo sulle gambe, al contrario del suo avversario, reattivo e sprintoso, che lo capisce da subito e continua a martellarlo da fondo implacabilmente. Così ne viene un secondo set zeppo di mancanze, fisiche e tecniche, e quando ci si mette anche il diritto a non andare, è comprensibile il break del norvegese al seconda game. Break che Ruud mantiene, nonostante la differenza di velocità di prima palla tra i due (quasi 30 kmh in più per l’italiano!), ma basta mettere dentro il servizio allo scandinavo perché Berrettini risponde male, corto o fuori, e recuperare il break di svantaggio diventa una chimera anche se, nel sesto game, avrebbe l’azzurro la possibilità di rientrare in partita. Ma 6/3 Ruud e si va al terzo. Che ha o stesso trend del secondo. Berrettini accetta lo scambio stando almeno un metro e mezzo oltre la linea di fondo, e cade nella trappola attendista del pallettaro norvegese, che in un nano secondo è già 3-1 (nonostante Berrettini sprechi col diritto la palla dell’immediato controbreak). Qui forse scatta un po’ la molla all’azzurro, perso per perso tanto vale giocare a tennis più aggressivo, come se fosse match da veloce. E in effetti il gioco accelerato del tennista romano porta i suoi frutti: tre games consecutivi e sorpasso, 4-3. Sembra essere girata favorevolmente la partita, 5-4 Berrettini e 0-30 sul servizio di Ruud, che sembra alle corde. Ma al tennista di casa manca il coraggio per sferrare il colpo del ko, e questo coraggio latiterà anche nel tie-break finale quando, avanti 5-3, dopo due buoni colpi che costringono Ruud alla strenua difesa, invece di attaccare e chiudere facilmente il punto con la volée (che lo avrebbe portato al match point) resta a fondo campo sotterrando il diritto in rete. Il resto lo fa l’instancabile pallettaro Ruud, coi soliti irritanti fondamentali, che ribalta lo score e, aggiudicandosi tre punti consecutivi, si porta a casa una semifinale storica per il suo Paese e per la sua carriera. Al contrario, per Berrettini è una sconfitta cocente, brutta, inaspettata, che ha palesato tutti i limiti del tennista romano. Ha spiegato Berrettini: “Dopo il primo set ho abbassato l’intensità e a questi livelli non si può. Poi avevo ripreso la partita, ho creato le chances per vincerla ma non ci sono riuscito. Col pubblico sicuramente ci sarebbe stata più adrenalina, più energia, ma non so dire se avrei vinto. Peccato. Del torneo non mi ritengo soddisfatto, c’è molta amarezza; sto crescendo però sulla terra dopo i tornei sul cemento e pochi match alle spalle. Roland Garros? Qui a Roma ho fatto tre partite di buon livello, credo di star bene, non mi sento neppure troppo stanco dopo tre ore di gioco sulla terra. Sono fiducioso”.  In ogni caso, se con servizio e diritto (due colpi due) Berrettini è numero 8 al mondo, bisogna riflettere sul livello tecnico del tennis mondiale. Del resto basta guardare Ruud…quanto ci mancano i Borg, i Connors, McEnroe, gli Agassi e i Sampras, i Becker e gli Edberg…la tecnica, manca la tecnica nel circuito, colpa degli allenatori che insegnano solo a tirare più forte dell’avversario. Ma il tennis così muore.