Bisognerebbe capire cosa vogliamo da Sinner, cioè se ci accontenta della terza semifinale consecutiva in un Masters 1000 con pianta stabile nella top-ten oppure se si può puntare più alto, ai primi 5 in termini di ranking e alla vittoria in uno Slam. A guardare Rune e la sua antipatica ferocia, che non ha ora a 19 anni ma almeno da un paio, c’è un abisso con le velleità di gloria di Sinner che è bravo, per carità, ha testa da vendere, ma a cui manca ancora quel qualcosa per issarsi nell’Olimpo del tennis. Sarò maturità? Sarè esperienza? O carattere? Ha 21 anni l’altoatesino, quindi è giovane, ma se si pensa ad Alcaraz, che a 18 anni è stato già numero 1 del mondo, a Rune appunto che lo tallona insieme al 22enne Auger Aliassime, c’è da pensare che di sfide al vertice ce ne staranno ancora tante altre. A Montecarlo però l’impressione è che Sinner abbia perso una bella occasione di sbancare il Principato, perché Rublev che è in finale dall’altra parte del tabellone, non è più lo stesso di un paio d’anni fa, perché Nadal e Djokovic sono assenti più o meno giustificati, e perché il danesino Rune per lunghi tratti dell’incontro, è stato domato dall’azzurro prima di vedersi raggiunto e superato sul più bello. Bisognerebbe capire cosa vuole Sinner da se stesso, se si accontenta di poter giocare il Masters di Torino a fine anno oppure se le sue aspirazioni di sedersi sul Sacro Trono dell’ATP sposano il concetto di convinzione.  La partita di oggi è emblematica perché è la saga del vorrei ma non posso (forse), perché ciò che fa grande un giocatore sono i risultati, le vittorie, non tanto i piazzamenti, e tanto meno la timidezza, quando un match prende pieghe indesiderate. La stagione è ancora lunga, ci sono tre Slam di mezzo, c’è il Foro Italico e altri Masters 1000 da giocare. E possibilmente da vincere. Per dimostrare di ambire al massimo.

Andrea Curti