A Pechino Sinner sbanca l’ATP 500 in maniera ineccepibile (,dal punto di vista tecnico): prima piega in semifinale lo spagnolo Alcaraz e poi domina la sua bestia nera, il russo Medvedev, rischiando poco o nulla durante l’arco del match. Due partite, quella contro Alcaraz e Medvedev, in cui il tennista italiano ha vinto tre tie-break su tre giocandoli col pilota automatico, in modalità perfetta senza sbavature e con grande determinazione, la stessa (per intenderci) che gli ha fatto passare il turno nonostante aver vomitato in campo (contro il bulgaro Dimitrov). Magari, se si vedesse questa voglia di partecipare, di competere, anche in Coppa Davis (dove non sono in palio i soliti dollaroni) sarebbe un giocatore più maturo e completo, ma questi sono (forse) altri discorsi. Fatto sta che l’affermazione in terra cinese catapulta Sinner al numero 4 del mondo, laddove solo Adriano Panatta in Italia si era spinto. Ma, please, con le debite proporzioni. Nel tennis moderno, dove l’estro e la fantasia vivono da soldatini in miniatura di fronte al gigante della potenza e dell’esplosività fisica, Sinner si trova che è una bellezza, e si vede anche dal ranking. Adriano Panatta era francamente altra cosa, raggiungibile si in classifica ma mai come varietà di gioco ed eleganza dello stesso. Era anche un 4 finto quello di Panatta perché lui a Borg lo batteva spesso, e Borg all’epoca era una sorta di Djokovic moderno. Ecco, il giorno che Sinner (come Panatta) vincerà almeno uno Slam e batterà più o meno regolarmente Djokovic, allora avremo trovato il campione che cerchiamo da tempo. Per il momento aspettiamo più o meno fiduciosi. I fenomeni però erano fatti di ben altra pasta.
Andrea Curti