Da Melbourne 2008 a New York 2023 sono trascorsi 15 anni, la vita è cambiata per tutti (tra crisi economiche, Covid e quant’altro) ma lui è sempre lì, o primo o secondo al mondo, pronto a sfidare e a battere le new generations che si appropinquano alla racchetta: Novak Djokovic da Belgrado, entrato nella 37ma primavera, dopo la conquista dell’ultimo Us Open, ha raggiunto la Margareth Court dei record, dei 24 Slam vinti in carriera, e lo ha fatto in un contesto, quello odierno, dove la concorrenza è numericamente e agonisticamente più agguerrita rispetto al secolo scorso. Non sarà, Djokovic, spettacolare e tecnico come Federer, non sarà un fighter incallito come Nadal, tuttavia resta il più vincente, emblema di quella concentrazione, di quella voglia di vincere che lo ha portato a soggiornare nell’Olimpo del tennis ormai da tempo. A un siffatto campione manca solo una cosa, il Grande Slam, che coronerebbe una carriera già di per sé fantastica. Due anni fa il campione serbo inciampò sempre sul cemento americano contro lo stesso russo Medveded, quest’ultimo oggi non degno di bandiera accanto al nome ma con un conto in banca da far paura più di un attacco di tank sovietici di vecchia data; ieri il serbo lo ha ridimensionato di brutto, una lezione di tennis gratuita che ognuno di noi poveracci sognerebbe ad occhi aperti. Serve and volley sulla seconda, attacchi in controtempo, timing perfetto d’anticipo, potenza e intelligenza al servizio degli osservatori, in tribuna o in poltrona che giacciano. Semplicemente impressionante. Poi a Wimbledon l’inaspettata sconfitta che ha reso Djokovic vulnerabile: il campione slavo si è fatto sorprendere dal baby Alcaraz, altro atleta che, in odor di Davis, tira fuori la tessera del “Gruppo Stanchi & Affaticati” tanto è il romantico attaccamento alla Nazionale di appartenenza geografica. L’impressone, dopo questi Us Open, è che Djokovic abbia solo rimandato l’appuntamento con la Storia, perché il serbo, a meno di improvvisi guai fisici, se ha ancora questa voglia, questa cattiveria agonistica, arriverà a dama.
Andrea Curti
Be the first to write a comment.