La prima semifinale Slam in carriera del “predestinato” Sinner è stata così gonfiata dai media nazionali che il palloncino si è afflosciato dopo un’ora e mezza di partita. Il bombardamento mediatico di tivvù, siti web e carta stampata ha fatto sì che oggi persino il pizzicarolo sotto casa parli di tennis in maniera calcistica; lo stesso, col posterino del roscio italiano ben in evidenza tra un San Daniele vivo e un crudo di Tivoli meno intenso, piuttosto che servire le Signore più o meno nude di questo hot luglio, si lascia andare a spavaldi spot da curvarolo vero. Con una differenza: mentre le Signore hanno pagato e zitte alla cassa del supermarket, il conto al barbaro cultore di sport di cui sopra è stato servito dallo stesso Djokovic, freddo e calcolatore come non mai. Il tennis non è il calcio, ha una sua sacralità ben specifica, dei valori, peraltro di miracoli ce ne sono pochi e rari, e tantomeno era auspicabile che Sinner battesse il campione serbo, lanciato com’è quest’ultimo verso un Grande Slam leggendario. E in effetti sin dalle prime battute si è vista la differenza in campo: da una parte un campione vero con 23 (quasi 24) Slam all’attivo; dall’altra un ottimo giocatore, top-ten, ma limitato nella tecnica, inferiore nel fisico e con assai meno trofei in bacheca. E siccome i fenomeni si vedono soprattutto nei momenti topici di un match, ecco Djokovic annullare due palle break in apertura d’incontro ad un Sinner falloso, strappare il servizio al ragazzo altoatesino alla prima opportunità e confermare il break per un 3-0 fulmineo. Poi al quinto gioco altro erroraccio dell’azzurro e sfuma l’opportunità del controbreak, mentre il set va in ghiacciaia, e con quest’afa anche le Signore del supermarket non disdegnano. Il serbo conclude 6/3 la prima piccola fatica con quattro servizi consecutivi vincenti (di cui tre aces), pur non essendo un erbivoro. D’altronde se non perde a Wimbledon dal 2017 ci sarà un motivo. La seconda frazione rispecchia la prima. Djokovic è attento, sbaglia poco da fondo campo, non è più incisivo e profondo come una volta ma è la stoffa del campione a far la differenza: break al terzo gioco, altro errore di Sinner sulla palla del possibile 2 pari e rapido 3-1 che diventa 4-2 (potrebbe dilagare il serbo 5-2), 5-3 e 6/4, con il solito ace al momento giusto. Avanti due set a zero, Djokovic sembra padrone del campo: potrebbe chiudere il match se facesse il break nel terzo gioco, invece inaspettatamente Sinner si trova 5/4 e 15-40 sul servizio del serbo. Due set-point per l’azzurro che avrebbero sì allungato la contesa ma francamente i valori in campo sono ben differenti. Mentre Sinner è costante nell’errore col dritto, Djokovic in forma fisica smagliante porta l’azzurro al tie-break; Sinner parte forte (2-0, 3-1) ma è un fuoco di paglia; il serbo conquista 6 punti ad 1 e stringe la mano all’italiano, il cui rovescio bimane finito in rete è la cartina tornasole di una partita giocata un po’ contratta e con poche variazioni tattiche (non è andato sotto rete neppure dopo quattro accelerazioni consecutive!). Ha 21 anni Sinner, è giovane, avrà tempo per tentare miglior sorte ma vincere uno Slam, con quelli davanti a lui in classifica, sarà molto duro. Anche perché è il caso di ricordare i numerosi vincitori di Slam in tenera età: a 17 anni Wilander, Becker e Chang; a 18 anni Borg; a 19 anni Edberg, Sampras, Nadal e Alcaraz; a 20 anni Courier, Del Potro e Djokovic. Così, giusto per puntualizzare. Dal canto suo lo stesso Djokovic è alla nona finale a Wimbledon, contro il number one Alcaraz, che ha dimostrato di muoversi bene sui campi spellacchiati dell’All England.
Andrea Curti
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