ROMA- La campagna elettorale è già scattata nei fatti con il Partito Democratico che cerca, con la nuova gestione di Zingaretti, di riprendersi tutti i voti scappati dal centro-sinistra sul crinale del Movimento Cinque Stelle. L’elettorato italiano ormai è liquido e fluido se un abbondante 19%si è spostata nell’arco di un anno, facendo decollare dal 17 al 36% il gradimento per la Lega, primo partito virtuale d’Italia. Ma il Partito Democratico ora ambisce concretamente al secondo posto rimontando la corta incollatura che lo separa dal partito che fu di Grillo. La convivenza con la Lega ha collassato un Movimento ora definitivamente partito che aveva fatto dell’integralismo e di alcuni insostituibili punti fermi la propria bandiera e li ha visti progressivamente traditi da inevitabili compromessi e da un abbondante florilegio di gaffe dei propri ministri. Più che mai in questa liquidità di consensi i concetti di destra e sinistra sembrano evaporati. Ma se la prima tatticamente si mette insieme per coagulare coalizioni non proprio omogenee ma potenzialmente vincenti, la seconda riflette sulle proprie divisioni. Sinistra Italiana, Leu, Potere al Popolo, Rifondazione Comunista, la fazione che guarda a De Magistris sembrano tanti monadi sparse che non si sostengono e non si riconoscono in un possibile fronte comune. Quanto al Pd dovrà fare i conti con la perenne turbolenza delle aspirazioni di Renzi. Appare chiaro che l’etichettatura di sinistra per un Partito fortemente a favore di TAV, Tap e di infrastrutture non proprio indispensabili è inadeguata. Eppure Zingaretti proviene dal partito comunista in cui ha fatto tutta la gavetta, risalendo la nomenclatura. Si potrebbe usare per lui la definizione utilizzata per l’ex presidente Napolitano: “è un giovane nato vecchio”. Però in questo momento è lui l’ago della bilancia per possibili nuove riconversioni e spostamenti pre-elettorali.
DANIELE POTO
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