di CRISTIANO SACCHI

Dopo Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band, anche Abbey Road nella nuova veste stereo mix 2019 ad opera di Giles Martin, figlio dello storico produttore dei Fab Four, e Sam Okell, vola al primo posto delle classifiche inglesi. Il mondo non ha mai scordato gli anni ’60, oppure il mondo non si è mai scordato i Beatles ? Secondo me è difficile scindere le due cose. Gli anni ’60, sono stati il cambiamento che comunque doveva succedere, o sono stati il cambiamento grazie ai Beatles ? In tutta sincerità non so rispondere a nulla di tutto ciò, o meglio, potrei dire che il mio punto di vista non è “il” punto di vista che illumina la strada. Una cosa è certa, se dovessi raccontare gli anni ’60, lo farei attraverso le foto e le istantanee dei Beatles, e sopratutto, la loro discografia parla chiaro: sono l’inizio e la fine di quel periodo, 1962- 1970. Raccontare i Fab Four non è un compito semplice, come fai a spiegare un qualcosa che a tutto’ oggi è ai limiti dell’incomprensibile, sopratutto dopo cinquantanni. Come fai a spiegare che attraverso “semplici” canzoni pop-rock, il mondo, di colpo si scopriva senza barriere, unito dalla stessa musica. Come fai a spiegare il fatto, che tutto il mondo politico dell’epoca, si è dovuto allineare e tener conto del fenomeno Beatles. Industria musicale e commerciale, sessualità, diritti politici, libertà di espressione e pensiero, parità uomo-donna, droghe, nuove religioni, mix culturali. Questi sono i processi irreversibili innescati dai quattro di Liverpool attraverso la loro musica. Sicuramente molti di voi diranno che in principio è stato Elvis Presley colui che ha acceso la scintilla, niente di più vero senza dubbio, ma i giovani, verso la fine degli anni ’50 stavano andando in un altra direzione: non bastava essere solo belli e bravi a cantare, ma ribelli, sfacciati e sopratutto consapevoli del loro peso nella nuova società. Ecco la magia: quattro ragazzi venuti su dal nulla, ma che con il lavoro, la passione e l’amore per la musica, sono riusciti in un qualcosa di grande. Quattro ragazzi della classe media borghese, si propongono come un immagine di fuga e di rottura con il passato: ognuno è artefice del proprio destino, e può cambiarlo quando e come vuole, attraverso l’amore e la voglia di fare. Il mondo, e sopratutto i giovani, si appropriano della loro musica, delle loro parole, della loro immagine per piegarla ai loro fini: il distacco totale ed irreversibile, da una società che ormai rifiuta l’identificazione con i propri padri. Come fai a spiegare il fenomeno Beatles, qualcuno direbbe “chi erano mai questi Beatles !”. Io dico sempre scherzando, ma non troppo, a chi mi chiede chi erano i quattro di Liverpool, rispondo: “se tu ora parli in un certo modo, vesti in un certo modo, godi della tua libertà in un certo modo, e se comunque, il mondo oggi cosi com’è, ti sembra così bello da vivere, lo devi ai Beatles”. Sicuramente sono esagerato in quello che dico, ma a me piace pensarla così. Ognuno di noi ha inconsciamente un’ pò di Beatles dentro di sé, e sopratutto anche molti adolescenti che oggi ascoltano e suonano rap o hip-hop li hanno, ma non ne sono, forse, così consapevoli. Le persone, i giovani, il mondo non hanno bisogno di nuovi Beatles, ma hanno bisogno di vivere e di rivivere quelle emozioni che loro riuscivano a suscitare. Riconquistare quella consapevolezza e quella spontaneità e sincerità di sentimenti che disarma e fa tremare dalle fondamenta le nostre coscienze. Perché solo così si potrà vivere o rivivere un nuovo cambiamento. Meno male che ci sono i Beatles ogni tanto a ricordarcelo, ed è così da cinquant’anni, perché dopotutto: “and in the end, the love you take, is equal to the love you make”.