By / 12 Gennaio 2023

(UN ARTICOLO SCRITTO DA UN’OTTIMO CHITARRISTA COME CRISTIANO SACCHI. DISCHI BLUES DA SCOPRIRE Jeff Beck, Blow By Blow (Epic, 1975)

  di CRISTIANO SACCHI Geoffrey Arnold Beck è nato a Sutton alla porte di Londra il 24 giugno 1944. La musica…

 

di CRISTIANO SACCHI

Geoffrey Arnold Beck è nato a Sutton alla porte di Londra il 24 giugno 1944. La musica è parte integrante della sua vita: il padre appassionato di jazz e la madre pianista, saranno i primi approcci a quello che diventerà poi il lavoro della sua vita, la musica. Fin da piccolo canta nelle chiese, suona la batteria e la chitarra acustica, ma la folgorazione arriva quando alla radio ascolta per la prima volta Les Paul. E’ subito amore a prima vista: sogna una chitarra elettrica, ma i soldi non ci sono. La provvidenza però arriva nella forma di un amico, noncurante dello strumento che ha in casa. Regala a Beck la chitarra, lui la cura, la coccola: inizia così il suo percorso che lo porterà nella storia della musica. E’ arrivato il tempo del rock’n’roll, Jeff Beck si innamora di Buddy Holly, la chitarra elettrica è entrata a tempo pieno nella sua vita, vuole scoprirne tutti i segreti. Dopo un lungo apprendistato, finalmente fa il suo debutto in un concerto vero, ma l’esibizione dura soltanto mezza canzone, ma comunque riesce ad ottenere una positiva recensione su un giornale locale. Finalmente arrivano i soldi per la prima vera chitarra, una Guyatone L-50, imitazione della stratocaster, giusto in tempo per il suo primo ingaggio in una band, i Bandits. Gira con il tempo tra diverse band, fa altri lavori per sbarcare il lunario, ma la musica è sempre il suo punto fermo. Nel mentre in Inghilterra il rock’n’roll è acqua passata, e sale la febbre del blues, Jeff grazie a Ian Steward si appassiona a questo genere, sopratutto al blues di Chicago. Con il tempo acquisisce un talento incredibile nel tirare fuori dalla chitarra suoni “assurdi”, creati con delay, eco, fuzz e feedback. La svolta arriva con la chiamata degli Yardbirds, ormai orfani di Eric Clapton. Il suo stile è futuristico, cosa che gli Yardbirds non gradiscono molto, ma il suo talento è talmente cristallino che lo lasciano fare. Lasciatosi alle spalle l’esperienza degli Yardbirds, forma la Jeff Beck Group, con Rod Steward alla voce, Ron Wood al basso, Nicky Hopkins al piano, e Mick Waller alla batteria. Il nuovo manager Peter Grant, li porta subito in America, ed hanno dopo mesi, un successo clamoroso senza nemmeno avere un disco in classifica. Pubblica con questa formazione due album: Truth e Beck-Ola, ma Jeff non è entusiasta del prodotto finale di entrambi i dischi, così manda all’aria il gruppo. Alla fine del ’69, Beck crea una seconda reincarnazione della band, questa volta più jazz e soul oriented. Pubblica altri due album: Rough And Ready e The Jeff Beck Group. Nel ’72 da vita ad una terza formazione, un power trio che vede Carmine Appice alla battera e Tim Bogert al basso. Nel ’74 inizia le registrazioni del suo primo disco da solista, Blow By Blow, dove unisce in modo fantasioso jazz e rock, dando vita ad una fusion originale e piena di carisma che farà di questo disco un successo di pubblico inaspettato. Il lato A si apre con You Know What I Mean, brano tagliente e funky alla James Brown, con una melodia decisamente con caratteristiche fusion, si prosegue con She’s A Woman cover di Lennon & McCartney, dove accarezza a modo suo con la chitarra la melodia di Paul. Constipated Duck è uno splendido mèlange di rock, jazz e progressive rock, Air Blower è un brano carico di groove che proietta il suond già alla decade successiva, Scatterbrain chiude il primo lato ed è farcito di funamboliche evoluzioni. Il lato B si apre in sordina con le atmosfere sognanti di Cause We’ve Ended As Lovers, brano di Steve Wonder scritto per la moglie, si prosegue con una altro brano di Wonder, Thelonius, dove le caratteristiche sonore dell’autore vengono lasciate intatte. Freeway Jam, il suo scopo è nel titolo: lasciare libero sfogo alla creatività dei musicisti. Il disco si chiude con Diamond Dust, altro brano sussurrato e sognante con l’orchestra di George Martin che impreziosisce il finale dell’album. “E’ stato orribile rendermi conto che quello che stavo facendo piaceva alla casa disografica”, ma ammetterà anche: “E’ il disco in cui suono meglio la chitarra dai tempi di Truth”.


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