Più spende e più perde. Il curioso caso dell’Olimpia Armani jeans è ormai
un’irreversibile tabe che nuoce all’immagine stessa del basket italiano. Pur dotata di
un budget da prima della classe in Eurolega grazie alla enorme disponibilità
economica dello sponsor e patron, la squadra milanese è incappata in Europa nella
quarta sconfitta consecutiva che si abbina a due capitomboli in campionato Sentori
di un disastro annunciato. Intaccando la fama declinante di Ettore Messina,
allenatore ma anche presidente che difficilmente si auto-dimissionerà. Il sospetto
che si stia incamminando verso un disastro paragonabile a quello della passata
stagione quando le sconfitte consecutive in Europa furono addirittura nove e senza
alcuna conseguenza per la panchina. Milano rappresenta un caso di masochismo
endogeno per il mancato rapporto tra investimenti e risultati, frutto anche di una
presunta campagna di rafforzamento basata soprattutto sull’ingaggio di Mirotic, il
terzo giocatore più pagato del vecchio continente. Ma gli esperti si chiedono perché
non funzioni l’asse play-pivot, perché sia stato riconfermato il deludente Pangos, un
giocatore poco creativo, impreciso al tiro e visibilmente poco fisicato per reggere a
questi livelli. E ci si interroga sulla poco lungimirante politica di acquisizione degli
italiani. Ingaggiati per vivacchiare in panchina perdendo anni preziosi anche in
prospettiva nazionale. Una strada su cui si sono incamminati Fontecchio (prima del
boom), Pascolo, Della Valle, Baldasso, Alviti e, ora, Caruso e Flaccadori. Non è un
caso che Datome (oggi ritirato), Tonut e Ricci, parte dell’organico, abbiano avuto
nettamente più spazio in azzurro che con la maglia di Milano. Il tunnel in cui si è
ficcato Milano è un po’ la metafora e lo specchio dell’impasse del basket nazionale,
avvalorato dalla prossima ricandidatura di Petrucci alla presidenza della federazione,
un deciso ostacolo al cambiamento e al vento del nuovo.

DANIELE POTO