I Pink Floyd lo definirono un pomposo idiota, John Fahey lo prese a pugni, i Rolling Stones rifiutarono di collaborarci e perfino i Doors lasciarono perdere. Che non fosse un personaggio facile si sapeva, ma oltre a essere un estremo perfezionista sull’aspetto estetico del suo cinema, Michelangelo Antonioni era anche ossessionato dal suono. Un esempio? Sono trascorsi quarantotto anni dall’uscita in sala di Zabriskie Point e ancora oggi si rincorrono aneddoti e ricordi di quella che fu una delle colonne sonore più tribolate della storia del cinema del Novecento, segnata da rifiuti, litigi e cambi in corsa, tra sperimentazioni e azzardi.

LA LAVORAZIONE

Una gestazione infinita, durata mesi e iniziata con le sessioni in studio dei Pink Floyd, fatti venire appositamente da Londra a Roma dopo che il regista aveva visto un concerto in Inghilterra. La loro Come in Number 51, Your Time Is Up sarebbe poi diventata parte integrante del film, ma il finale di Zabriskie Point sarebbe poi stato manipolato a insaputa del regista dalla Metro-Goldwyn-Mayer che, poco prima dell’uscita in sala del film negli Stati Uniti, aggiunse tutt’altra canzone: So Young di Roy Orbison. C’era solo un problema: quella canzone era un brano rassicurante e speranzoso, l’esatto opposto del tema dei Pink Floyd. Quel cambio imposto fece infuriare Antonioni e allungò l’aneddotica di un film maledetto, a partire dal giovane protagonista, Mark Frecchette, che venne arrestato tre anni dopo le riprese per rapina e morì in prigione nel 1975 a ventotto anni.

THE DARK SIDE

Scritto da Sam Shepard, Tonino Guerra e Clare Peploe (futura moglie di Bernardo Bertolucci), Zabriskie Point venne musicato oltre che dai Pink Floyd (di cui Antonioni però paradossalmente usò solo tre brani), anche da Jerry Garcia dei Grateful Dead e dal grande chitarrista John Fahey che però, durante una cena a Roma con il regista, litigò furiosamente con lui per ragioni politiche e gli tirò (addirittura) un pugno. Antonioni – reduce dalla collaborazione con Herbie Hancock per Blow-up – aveva anche provato a contattare i Rolling Stones, che però erano in tour e avrebbero voluto una cifra astronomica per fermarsi, nonché i Doors di Jim Morrison con cui però non se ne fece nulla. I Pink Floyd – che il regista aveva visto in concerto a Londra con Monica Vitti due anni prima – accettarono, e nel novembre del 1969 si chiusero negli studi di via Urbana, a Roma, proprio con il regista a seguire passo dopo passo le registrazioni in maniera estenuante. L’aspetto più clamoroso? Tra le molte cose rifiutate da Antonioni e lasciate nei cassetti ci sarebbero state anche le prime intuizioni di quello che sarebbe poi diventato un capolavoro: The Dark Side of The Moon.