di DANIELE POTO

Habemus papam. Con un incasso di tre milioni e seicento euro, cifra che non fa male alle malandate casse del Pd, le primarie hanno sciolto il facile nodo della leadership. Nel gigantesco ciapanò della politica attuale, dove conviene giocare di sponda e pugilisticamente “prima non prenderle” ha vinto chi si è poco esposto e ha alle spalle trent’anni di lenta ascesa nelle gerarchie di un partito geneticamente diverso dal primordiale Pci. Zingaretti, il prudente, politico di professione, ancora infinitamente meno popolare del fratello Luca,si assume ora una grande grana da pelare, cercando di invertire il corso di una tendenza che, immanente Renzi, rischiava di portare il Partito Democratico, al pulviscolare, alla marginalità, all’insignificanza. Il primo proclama però sembra poco di sinistra e inspiegabilmente aggressivo: “Sarebbe criminale non portare a termine la TAV”. L’analisi costi/benefici, mediaticamente portata alla luce dalla commissione omologa presieduta dal prof. Ponti, ha dimostrato il contrario. Per la Tav tifano la Lega, Confindustria, Forza Italia, le madamin torinesi, la demagogia dei 50.000 nuovi posti di lavoro (sarebbero 4.000 ma a termine). Sono i sogni, pure legittimi di un’Italia diversa. Quella del Ponte di Messina, del rilancio delle infrastrutture. Purtroppo l’emergenza costringe a sogni più ridimensionati come dimostra l’applicazione parziale del reddito di cittadinanza e una legge sulle pensioni che non costituisce uno smantellamento dell’impianto Fornero.  Un ulteriore spreco di denaro pubblico sarebbe criminale, non altro. Appare curioso che nel Paese della mafia, della corruzione, dell’esasperata evasione fiscale, il primo proclama di un politico chiamato alla responsabilità, sia dedicato alla Tav. Fa venire sospetti su una cocciuta e ostinata resipiscenza dei poteri forti che sul tema, contro ogni dimostrazione, vogliono a tutti i costi imporsi. IL vero giudizio politico su Zingaretti maturerà in queste settimane. Il politico della Provincia prima, della Regione poi, sindaco di Roma in pectore e poi rinunciatario, finalmente svelarsi.